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    L’etica aziendale pilastro invisibile
    del successo duraturo

    Immaginiamo un mondo aziendale privo di etica, dove il rispetto, la sicurezza sul lavoro e il benessere dei dipendenti sono solo lontani miraggi. Regnerebbe il caos. Ma potrebbe avvenire in ogni impresa. Perché, in un’azienda realmente virtuosa, la capacità di integrare l’etica nel cuore della strategia quotidiana conta tanto quanto le performance economiche. 

    A parlare è l’imprenditore Roberto Leopizzi, al timone della Edil Geos, past president di Pmitalia. In quest’intervista riflette con noi su come le aziende possano adottare pratiche etiche che vadano oltre le semplici politiche aziendali e sul perché gli imprenditori debbano integrarla nei processi operativi quotidiani.  

    Roberto Leopizzi

    In un’epoca in cui l’etica aziendale è considerata un motore di progresso e successo, come si può valutare se un’impresa è autenticamente orientata al benessere dei propri dipendenti?

    «Senza dubbio la sicurezza sul lavoro è il primo aspetto da considerare. L’etica aziendale si riconosce quando non ci si limita solo a rispettare le normative, bensì a integrarle nella pratica quotidiana. Per capirci, se un dipendente sta svolgendo un’attività a rischio, va educato a riflettere bene sul pericolo potenziale e su come mettersi in sicurezza, senza quindi mai spingerlo a portare a termine il lavoro con celerità. Tale condotta, allorquando metabolizzata dai lavoratori, non può che generare comportamenti responsabili pure nella vita privata di ognuno di noi e diventa dunque un apporto reciproco, poiché solo chi offre etica può riceverla a sua volta». 

    Parliamo di grandi figure come Adriano Olivetti ed Enzo Ferrari. Le loro filosofie aziendali possono ispirare le imprese moderne? 

    «Olivetti e Ferrari resteranno per sempre due fari imponenti e sul loro modello è cresciuta buona parte del tessuto imprenditoriale che ci ha preceduto. La discriminante che li caratterizzava era una visione in cui l’utile aziendale risultava, sì, importante, ma non determinante. Basti ricordare che Olivetti realizzò la prima scuola materna in fabbrica per permettere alle dipendenti di lavorare serenamente vicino ai figli. Va riscoperto il ruolo dell’impresa sociale, un po’ dimenticato, talvolta cancellato. Ahimè, oggi siamo frenati da procedure come ad esempio quelle per il rating, che promuovono una rincorsa sempre più sfrenata alla capitalizzazione e alla marginalità, ovvero all’egoismo puro, e pertanto a scapito della responsabilità sociale. Dobbiamo bilanciare l’importanza della redditività con il ruolo sociale delle aziende». 

    Quali sono gli impedimenti per le aziende nel perseguire un modello di impresa sociale? 

    «Uno degli ostacoli principali, non per essere ripetitivo, è senza dubbio proprio il sistema del rating, che promuove una competizione sfrenata, dimenticando la redistribuzione della ricchezza e il benessere dei dipendenti. Occorre rivedere con urgenza gli attuali criteri, includendo parametri che valutino l’impatto sociale delle aziende. Pensiamo alle difficoltà affrontate durante il Covid, quando molti piccoli imprenditori hanno fatto immani sacrifici per non lasciare i dipendenti in cassa integrazione e sono ripartiti prontamente dopo il periodo imposto dal lockdown, dimostrando un forte senso di responsabilità sociale che nessun sistema ha saputo valutare nella sua entità». 

    Parliamo di intelligenza artificiale e del suo impatto nelle aziende. Quanto è utile e quali potrebbero essere i rischi associati? 

    «L’intelligenza artificiale può ottimizzare molti processi aziendali, ma i rischi sono significativi. Bisogna capire che qualsiasi attività o professione legata a dei codici potrà essere sostituita da una macchina. D’altronde al G7 per un’intera mattinata ci si è confrontati sui rischi derivanti dalle intelligenze artificiali, alla presenza del Papa. È facile comprendere pertanto come l’impatto dell’IA sulla nostra quotidianità possa essere devastante. Giusto per fare un esempio concreto, nei controlli dei passaporti in alcuni aeroporti internazionali, l’intelligenza artificiale ha già sostituito in parte le forze dell’ordine». 

    C’è un paradosso: da un lato promuoviamo l’etica e l’attenzione per i dipendenti, dall’altro l’IA potrebbe eliminare posti di lavoro. Qual è la soluzione?  

    «Non per essere ridondante, ma è fondamentale capire come proprio l’etica potrà metterci al riparo dalle sostituzioni che certamente avverranno per via dell’intelligenza artificiale. Per meglio comprendere, tornando all’esempio appena fatto, è chiaro che un poliziotto può essere sostituito da una telecamera, poiché i dati biometrici sono caricati in tutti i documenti, ma il funzionario di banca preposto o l’imprenditore non possono soffermarsi su tali parametri se ricominciamo a dare in modo fattivo valore all’etica, in quanto non vanno valutati unicamente i bilanci senza considerare la storia, la puntualità, il rigore e la risposta epidermica che solo un’esperienza di vita può dare. Per converso e per capire come oggi i sistemi siano sbagliati, proviamo a ricordare il caso Parmalat, infatti la mattina della dichiarazione di fallimento risultava con tripla BBB+ nel rapporto della più importante agenzia di rating che la valutava».

    In sostanza dobbiamo rimettere al centro l’uomo…

    «Ecco, appunto, ma può avvenire solo riuscendo a fare sintesi dei valori di moralità, socialità, onestà, rispettabilità, in poche parole di autenticità. Credo che, nel discorso di fine anno, il presidente Mattarella intendesse veicolare questo messaggio a conclusione del capitolo dedicato proprio alle intelligenze artificiali, allorquando ha detto “Possiamo dare tutti qualcosa alla nostra Italia. Qualcosa di importante. Con i nostri valori. Con la solidarietà di cui siamo capaci”».

    Bene, a questo punto, come recuperare e restituire valore all’autenticità? Qual è il suo auspicio e cosa si potrebbe fare?

    «Mi auguro che si possa aprire un dialogo ampio e inclusivo, continuo, creando un forum dove imprenditori, politici e giovani professionisti riescano a confrontarsi. Così riusciremo a trovare soluzioni innovative per bilanciare l’adozione dell’IA con la salvaguardia dei valori etici e dei posti di lavoro. Il mio è un invito aperto a partecipare a tale dialogo, con l’obiettivo di creare un futuro lavorativo più etico, sostenibile e rispettoso. È urgente creare un salotto imprenditoriale seppur digitale. Questo blog potrà essere già una risposta in tal senso». 

    Insomma, l’integrazione dei principi etici nei processi aziendali quotidiani può generare un impatto positivo non solo all’interno delle aziende stesse, ma anche nella comunità in cui operano. La sicurezza sul lavoro, il rispetto reciproco dei dipendenti e del datore di lavoro, l’attenzione alla responsabilità sociale devono diventare pilastri fondamentali. Solo attraverso un impegno concreto verso l’etica si potrà costruire un mondo imprenditoriale più giusto e sostenibile.

    Intervista completa sull’etica aziendale. Roberto Leopizzi

    di Anna Colazzo

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