Francesco Causo, ceo di Vitruvio, illustra come si può migliorare l’efficienza e rafforzare il legame con il territorio
La sostenibilità e la gestione ambientale sono diventate priorità imprescindibili per le aziende. E non solo per una questione di normative da rispettare. Non per nulla, proprio il rendiconto di sostenibilità emerge come una “misura” fondamentale dell’efficienza aziendale, evidenziando il suo impatto ambientale, sociale ed economico sul territorio e sulla comunità. Ma cosa significa veramente e perché è così cruciale?
Il concetto si declina in tre dimensioni: ambientale, sociale ed economica. Sono tutte interconnesse e fondamentali per il successo a lungo termine. Ma in quale modo le imprese possono prepararsi a integrare tali principi nella loro operatività? Oggi, in particolare, la nostra attenzione è rivolta alla dimensione relativa all’ambiente. Abbiamo il piacere di dialogare con Francesco Causo, ceo e founder di Vitruvio (insieme a Lara Lopez), realtà leader in Italia nella progettazione ambientale (qui la sua storia di successo), da maggio 2022 società Benefit. Nell’intervista esploriamo le strategie e le sfide che le aziende affrontano nel percorso verso una maggiore sostenibilità.
In due parole, come definirebbe la sostenibilità in ambito aziendale e perché è così cruciale per le imprese moderne?
«Un’azienda agisce in maniera sostenibile quando si contestualizza sul territorio e comprende di essere parte responsabile del tessuto sociale oltre che economico. La comprensione di “essere parte” consente all’azienda di radicarsi da punto di vista territoriale con risvolti importanti in termini di lavoro, commesse, attrattività e soddisfazione per i collaboratori».
Si parla tanto di sostenibilità, ma in che misura le aziende stanno agendo? Cosa possono fare per passare dalle parole ai fatti?
«Siamo nella fase di transizione, in quella fase primordiale in cui si lavora sulla teoria, sui documenti da redigere, sulle carte insomma. Si sta arrivando alle azioni concrete percepibili».
Molte imprese si dichiarano sostenibili. Come possiamo valutare sinceramente il loro impegno?
«Basta guardare le condizioni di lavoro dei collaboratori o dei fornitori o le dinamiche degli acquisti. Da lì comincia l’evoluzione. Da lì si riconosce se si tratta di greenwashing o di politiche socio-ambientali in corso di crescita all’interno dell’azienda. Si cambia prima all’interno e poi si esce all’esterno. Ed è giusto così».
É greenwashing quando un’affermazione sulla sostenibilità contiene informazioni false/ingannevoli o quando si omettono informazioni rilevanti. Da cosa si riconosce un’azienda che fa solo scena?
«Se c’è una bulimia di comunicazione autocelebrativa sui temi ambientali, siamo pronti per essere delusi. La misura nella comunicazione è segno di equilibrio e quindi di affidabilità».
Qual è il ruolo del rendiconto di sostenibilità? E come può diventare uno strumento per valutare l’efficacia delle azioni intraprese?
«Nel momento in cui il rendiconto passa da adempimento formale a report di quello che un’azienda è stata in grado di fare sotto il profilo socio-ambientale, allora il rendiconto diventa strumento di riflessione e di crescita. Altrimenti rimane “carta”».
Parliamo dei principali ostacoli che le imprese affrontano quando si tratta di implementare pratiche di sostenibilità e raccolta differenziata.
«L’ostacolo principale è l’organizzazione tradizionale dei fattori produttivi. Lo sviluppo di una contabilità analitica e del controllo di gestione consente un’organizzazione per obiettivi delle aree aziendali. In questi obiettivi, quello della sostenibilità ambientale non è il più costoso né il più impervio».
In che modo le aziende possono trarre vantaggio dall’adozione di sistemi innovativi nella gestione dei rifiuti?
«Il primo vantaggio è la credibilità esterna in uno scenario competitivo di aziende che ormai comunicano sempre di più le loro scelte di sostenibilità. Un altro è l’economicità della gestione laddove, grazie all’applicazione del d.lgs.116/2020, si organizzi un proprio sistema di raccolta con imprese specializzate che consentano di valorizzare economicamente la quota di rifiuti recuperabili prodotti e calibrare un servizio con gli standard necessari al miglior funzionamento dei processi aziendali. Attenzione, però, perché il decreto prevede molti mesi di anticipo per comunicare tale scelta al Comune di riferimento».
Che ruolo gioca la formazione continua nella gestione ambientale? Può aiutare le imprese a mantenere standard elevati e conformità normativa?
«Una startup di formazione specifica è in grado di evitare criticità di natura civile e penale, tipiche delle violazioni ambientali, e scegliere tra un follow up della gestione dei temi ambientali in economia o avvalendosi di supporti esterni. Formazione significa consapevolezza che garantisce scelte economicamente sostenibili ed evita complicazioni giudiziarie prima ancora di arrivare ai vantaggi competitivi garantiti da scelte sostenibili».
Quali sono le tendenze attuali nel settore della progettazione ambientale che le aziende dovrebbero tenere d’occhio? Come possono prepararsi ad affrontarle?
«Basterebbe una lettura ai Cam, cioè ai Criteri ambientali minimi, cui le aziende devono obbligatoriamente attenersi per le pubbliche forniture di beni servizi o lavori per avere la misura della spendibilità del proprio lavoro. I Cam non sono esaustivi delle novità normative in tema ambientale, ma sono un buon termine di paragone tra il proprio processo produttivo e uno standard in linea con la normativa comunitaria».
Qualche consiglio per un’impresa che desidera migliorare la propria strategia di raccolta differenziata e gestione dei rifiuti?
«Consiglio di approcciare il tema come uno dei processi produttivi interni e non come adempimento a un capriccio normativo. Quindi, attuare il controllo di gestione, la contabilità analitica e una politica di ottimizzazione delle performance non unicamente economiche, bensì pure ambientali. Ancora, guardare alle opportunità offerte dai Cam negli appalti pubblici, non trascurare che con il d.lgs.116/2021 è possibile pensare a una gestione autonoma dei rifiuti nella sua totalità, anche quelli oggi gestiti dal comune di appartenenza».
Come può un approccio responsabile e sostenibile nella gestione ambientale contribuire a una maggiore fiducia da parte degli stakeholders?
«Rispondo a una domanda leggermente diversa che però riguarda questa. Un approccio indifferente alla tutela del territorio favorisce una percezione negativa, un gap rispetto a un universo di aziende che hanno avuto capacità di evolvere e che lo comunicano ai propri stakeholders. Non ne parliamo poi se dovessero insorgere vicende giudiziarie».
In che modo il passaggio a un sistema di tariffazione puntuale può influenzare le pratiche aziendali? Quali sono i vantaggi per le amministrazioni pubbliche e le aziende?
«Quasi mai le aziende non hanno esigenze di ritiro dei rifiuti “assimilabili” a quello delle famiglie. Dunque, per i rifiuti da esse prodotti, abbiamo ereditato il termine di “rifiuti assimilabili” dal vecchio decreto Ronchi del 1997, quando la raccolta era ancora con i cassonetti stradali. Allora ci stava. Oggi il livello di erogazione e misurabilità del servizio e delle quantità di rifiuti intercettati arriva a quantificare in peso o in volume ogni singolo conferimento. Bisogna tendere a chiedere un servizio “calibrato” sulle esigenze aziendali, che sia pagato “il giusto”. Spesso il sistema pubblico non ha possibilità di aderire alle specifiche esigenze dell’azienda, se non con diseconomie insostenibili. Il d.lgs.116/2021 consente di liberare il sistema pubblico da tale peso e ottenere una tariffa puntuale “giusta” per le esigenze aziendali. Cassoni, press container, flussi di rifiuti diversi da quelli prodotti dalle famiglie, in due parole gestioni “non assimilabili”».
Infine, qual è il messaggio principale che desidererebbe condividere con le imprese che stanno cercando di migliorare le performance ambientali e raggiungere i propri obiettivi?
«La risposta sta nel lavoro che facciamo. Il tema della tutale ambientale è un’opportunità di rivedere la sostenibilità economica dei processi in un’ottica di contabilità analitica e controllo di gestione. Alle aree o ai coordinatori vanno indicati degli obiettivi basati sui migliori target di performance storiche dell’azienda e del settore. Tra questi ci sono quelli economici e quelli di tutela ambientale. Nello specifico, gli obiettivi ambientali hanno riferimenti certi, come ad esempio i criteri minimi. Il termine cardine, però, rimane sempre “misurabilità” delle performance, altrimenti è solo sterile autocelebrazione, ovvero carta».
In altre parole, la sostenibilità non è più un’opzione, ma una necessità. E le aziende che adottano un approccio responsabile nella gestione ambientale si posizionano come attori chiave del cambiamento. Investire in pratiche sostenibili e trasparenti accresce la fiducia degli stakeholder e contribuisce a creare un impatto positivo sul territorio. Dunque, la sfida per le imprese italiane è trasformare queste pratiche in un vantaggio competitivo. La chiave è integrarle come elementi essenziali nella strategia aziendale.
di Anna Colazzo
Articolo interessante e ricco di spunti utili per comprendere l’importanza della sostenibilità in azienda e il suo impatto sul territorio. Tuttavia, mi chiedo se il passaggio dalla teoria alla pratica sia davvero così vicino come si suggerisce. Molte aziende, infatti, trovano ancora ostacoli concreti nell’implementazione di misure sostenibili, soprattutto per quanto riguarda la gestione autonoma dei rifiuti. Sarebbe interessante approfondire con esempi concreti di aziende che hanno superato queste difficoltà, mostrando come abbiano reso misurabili i benefici ambientali e socio-economici del proprio impegno.
Grazie per il suo commento! Proprio per rispondere a queste esigenze, abbiamo avviato la sezione “Storie di successo”, dove presentiamo realtà che sono riuscite ad affermarsi superando sfide importanti e ostacoli, inclusi quelli legati alla sostenibilità. La invitiamo a seguire la nuova rubrica per scoprire esempi reali e ispirazioni utili!